sabato 24 dicembre 2011

L'angolo dei bimbi: La prima parolaccia coi fiocchi

Il momento tanto temuto è arrivato. La mia adorabile bimba treenne, la Principessa Pucci-Pooh, come la chiamiamo noi, la mia dolcissima frugoletta-bocca-di-rosa se ne va fiera per la casa proclamando con voce sonante la sua prima vera parolaccia, un non propriamente natalizio: “Fanc***!!”, di cui ignora il significato, lasciando basiti me e suo padre. Primo dubbio: dove l’ha sentito? Scatta l’esame di coscienza, mio marito mi sibila, socchiudendo gli occhi: “Tu a volte dici parolacce”. Io penso e ripenso e ammetto che qualcosa ogni tanto mi scappa, ma quella parola, proprio quella, non fa parte della mia top five e neanche della mia top ten. Io dico altro, di solito si tratta del meno nobile sinonimo di “cacca” quando combino qualche casino, per esempio quando mi brucio un dito in cucina o cose di questo tipo.
Comunque il problema rimane: l’innocente creatura, percependo il nostro imbarazzo, si diverte ancora di più a pronunciare con somma soddisfazione la sua nuova conquista lessicale.
Io ringhio contro mio marito: “Fai finta di nulla, se capisce che non deve dirlo è finita!”. Ma la nostra Pucci-Pooh ci raggiunge ridendo e continua ad esclamare trionfante: “Fanc***, fanc***, fanc***!”.
Mio marito a quel punto ha un’ideona: “No, tesoro, hai capito male, la parola era ‘cubo’”, e inizia a spiegarle cosa significa “fare un cubo”, dopo avere rispolverato il vecchio gioco di Rubik.
Lei lo guarda, comincia a ripetere diligentemente: “Fare cubo”. Lo asseconda per un po’. Poi riattacca. Si vede che quella parola nuova ha davvero un bel suono.
Per ora il problema non è risolto. Abbiamo comunque deciso di non darle peso né soddisfazione e attendere che si stufi da sola. Prevedo disastri diplomatici con i parenti per il giorno di Natale.

Taboo letterari

Ci sono due argomenti di cui non avrei mai il coraggio di scrivere, neppure per esorcizzare la paura che prima o poi mi possano toccare personalmente: la morte di un coniuge in giovane età e quella di un figlio, a qualunque età. Sono per me drammi talmente inimmaginabili che non riesco proprio a figurarmi davanti ad un pc nell’intento di affrontarli e superarli.
Susanna Tamaro, che evidentemente ha molto più pelo di me, li tratta entrambi nel suo ultimo libro “Per sempre”. È noto che la Tamaro è molto brava ad immedesimarsi in personaggi disparati, talvolta, come in questo caso, anche di sesso maschile. Pare che ci riesca bene, seppure non spetti a me, che sono donna, giudicare se il punto di vista maschile della Tamaro sia credibile.
Il protagonista del romanzo è un giovane medico che perde in un colpo solo moglie incinta e figlio di tre anni, al che va in crisi e ci impiega più o meno tre lustri prima di ridare un senso alla sua vita. Ciò che stride di più nella narrazione è il peso relativo che viene dato ai due drammi: il vedovo incentra quasi esclusivamente il proprio dolore sulla perdita della compagna, mentre il povero bambino deceduto rimane una figura sullo sfondo creata ad hoc per rinforzare la portata della sciagura.
Ora, come già affermato sopra, io non sono un uomo, per cui non ho idea di come un padre, magari un padre immaturo, possa vivere la morte del suo bambino rispetto a quella della moglie, ma, per la mia personale sensibilità posso affermare che se in un unico incidente perdessi marito e figli il disastro sarebbe globale, e se poi decidessi di parlare con i loro fantasmi lo farei senza distinzione con tutti e tre, compreso quello del neonato che attualmente si esprime a base di “nghè”.
Invece, nel libro, mi pare bella e plausibile la storia d’amore tra il medico e la consorte. È la descrizione credibile, non mitizzata, di una storia concreta, che non si perde in smancerie inutili, ma che propone le mille sfaccettature di un rapporto sano tra due persone molto diverse tra loro e sinceramente innamorate. Bello!

giovedì 15 dicembre 2011

Alemanno sfratta i lucchetti di Moccia

http://www3.lastampa.it/costume/sezioni/articolo/lstp/434487/


E viva iddio. Non per altro, ma perché odio Moccia. Di Moccia ho letto un paio di libri: il cult, "Tre metri sopra il cielo", e, giusto perché era appena uscito, il sequel "Ho voglia di te". Mi sono bastati, e poi li ho lasciati ad un mercatino dell'usato che lavora in franchising. Non solo, non ho mai ritirato neanche i soldi che mi spettavano, da quel mercatino, a vendita avvenuta. Il mio obiettivo non era guadagnare, era palesemente liberarmi di quei due tomi. Se il primo dei due aveva ancora un suo perché, il secondo era allucinante. Il protagonista, Step, è un teppista. Uno che mena la gente, uno che ne combina d'ogni. Una vera merdaccia, un criminale. Ma l'autore si compiace di lui, l'autore è innamorato del suo piccolo capolavoro, Step. Infatti le gesta criminose di questo bellimbusto sono elogiate come imprese eroiche, perché vengono descritte sempre in modo molto divertente. Infatti è divertentissimo che i giovani sciamannati si ammazzino con le gare di moto clandestine. Ma questo era nel primo libro, dove Moccia cedeva meno alla simpatia personale e presentava "la storia" in modo più obiettivo. Invece Moccia gode come un pazzo a raccontare di quando Step prima fa sparire la macchina al fratello (un grigio e noioso impiegato di quelli che si sbattono a lavorare, Dio ce ne scampi), poi gli dice di sapere chi gliel'ha rubata e si fa dare dei soldi per pagare il riscatto (in pratica ruba al fratello qualche migliaio di euro). Tutto molto educativo, considerando che i suoi sacri testi finiscono prevalentemente nelle mani degli adolescenti (ammesso che gli adolescenti leggano). Poi ci lamentiamo del bullismo. Eppure c'è ancora un aspetto del secondo libro che mi fa accapponare la pelle. La concezione dell'amore che ne viene presentata. Step, ancora non rassegnato al fatto che la sua ragazza, Babi-la-stronza, l'abbia piantato (giustamente, perché lui era un pazzo), viene baccagliato fino alla nausea da una certa Ginevra, con cui poi si mette. Alla fine emerge che costei era innamorata di lui da anni, lo seguiva, lo spiava, era persino andata a conoscerne la madre moribonda. Insomma, una matta furiosa pure lei, una ossessiva, una che non vorrei mai in casa. E Step cosa fa, quando scopre di essere da anni oggetto delle morbose attenzioni di una adolescente psicopatica? Si commuove!! Se ne innamora ancora di più! E ci lamentiamo che cresce lo stalking?? Ad "Amore 14" non ci sono mai arrivata. Non oso immaginare cosa scoprirei.

Un errore di gioventù

Un errore di gioventù
Futura è incinta per la seconda volta e a Patrick sembra che il loro mondo sia perfetto, ma una notizia dal passato potrebbe scombinare tutto. Patrick infatti viene contattato da una sua ex, Arlene, che gli confessa di avere una figlia quasi adolescente, che potrebbe essere sua. Lui però non ha il coraggio di rivelarlo alla moglie.

L'occasione di una vita

L'occasione di una vita
Tre donne, tre occasioni per cambiare la propria vita. A Londra Futura rimane inaspettatamente incinta, ma Patrick inizialmente non è disposto ad accettare l'idea di diventare padre. Tra i due conviventi scende a lungo il gelo, finché il ragazzo, intenerito dall'ecografia del piccolo, decide di rivedere le proprie posizioni. Non fa in tempo però a manifestare le sue intenzioni che Futura perde il bambino e in conseguenza di ciò decide di allontanarsi, non essendosi sentita sufficientemente amata e capita durante la pur breve gestazione. A Torino Massimo e Ljuda, sposati e con due bambini, si dividono tra lavori part-time e la gestione della Casa di Accoglienza, struttura che si occupa di ospitare donne vittime di violenza che tentano di rimettere insiemi i cocci della loro vita. Ljuda però non è felice, le pesa la perenne carenza di soldi e decide, senza il benestare del marito, di partecipare al Reality più famoso d'Italia, dove è stata scritturata come concorrente, per dare una svolta alla sua esistenza.

Perché ne sono innamorata

Perché ne sono innamorata
Quanti modi ci sono per innamorarsi? E quanti per esprimere l’amore? Come inizia una storia duratura? La sognatrice Manuela, l’introversa e concreta Futura, la tenace Ljuda e la rassegnata Martina sono alle prese, rispettivamente, ma non sempre biunivocamente, con un promesso sposo altrui e inaffidabile, un ragazzo affascinante ma affetto da una patologia genetica, un seminarista e un fidanzato arrogante e violento. Impareranno, a loro spese, a discernere le relazioni sane da quelle malate.

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Sono nata a Torino nel 1975 dove ancora risiedo e lavoro. Ho pubblicato qualche romanzo e ogni tanto condivido sul blog i miei pensieri.